Mattia Furlani, campione del mondo di salto in lungo
- Claudio Frascella
 - 19 set
 - Tempo di lettura: 5 min
 
«Mi faccio in otto!»
Uno dei ragazzi-prodigio neri che indossano orgogliosamente la canotta azzurra rastrellando medaglie d’oro, d’argento e bronzo in giro per il mondo. Bello quel sorriso, le sue mani fra i capelli, l’abbraccio a mamma Khaty. E’ lei, origini senegalesi, ad allenarlo. Lei che gli ha suggerito la strada per fare di un predestinato un atleta completo

Mattia Furlani, professione “Prodigio della natura”. Quella natura che lo ha fatto atleta, facendogli respirare subito primati, grazie a mamma, Khaty Seck, velocista italiana di origini senegalesi, e papà, Marcello Furlani, altista, anche lui uno che di primati se ne intende. Qualcuno dirà «Era scritto!». «Era scritto un piffero!», ci verrebbe da dire. Non è scritto da nessuna parte che uno, non appena nasce, è un predestinato. Ci vuole un pizzico di fortuna, certo, riuscire ad acchiappare il DNA giusto non è da tutti. Sfondate una porta aperta, qualche volta lo abbiamo anche sottolineato, ricordandolo a chi contestava l’aggettivo “fortuna”, usato secondo il suo punto di vista in modo improprio. Noi, invece, insistevamo: certo che ci vuole studio e applicazione, ma nascere da una pancia in una zona di guerra, arida, rispetto ad una città europea mediamente ospitale, per sistema di vita e ancora tanti altri comfort, sarà come partire con un certo svantaggio?
Ma non cadiamo nella retorica, nella quale ogni tanto qualcuno prova a spingerci. Facciamo un passo a avanti e parliamo, invece, di Mattia, la star italiana del salto in lungo, recordman mondiale con tanto di medaglia d’oro conquistata mercoledì scorso a Tokyo. Del giovane Furlani ne avevamo scritto appena settimane fa, quando avevamo raccontato di ragazzi neri che indossavano orgogliosamente la canotta azzurra rastrellando medaglie d’oro, d’argento e bronzo in giro per il mondo.

MATTIA, FAI UN ALTRO SPORT!
Ci auguravamo di scrivere una rubrica tutta per lui, ma non così presto, anche se in cuor nostro lo speravamo ardentemente. Un fenomeno, questo vedevamo in lui e questo è Mattia: un fenomeno. Avevamo l’impressione che rispetto agli altri, lui facesse un altro sport, tanto era più forte. Invece, piccolo contrattempo, un intoppo, succede: i primi tentativi nelle prove decisive di salto in lungo non lasciavano intravedere qualcosa di dirompente. Il ragazzo nato a Marino, due passi da Roma, dove la vita, viva il Cielo, è ancora a misura d’uomo, invece, nei momenti decisivi della gara mondiale si confrontava con mamma.
E mamma Khaty, che lo allena e sa come motivarlo, lo fa rilassare. Non sappiamo se parli più di sport, di carattere, forza o senso della vita, fatto sta che Mattia dopo qualche minuto torna su quella pista di decollo e parte a razzo. Vola in cielo, pedala che è una meraviglia e parcheggia i suoi piedoni a circa nove metri dall’asse dalla quale si è dato lo slancio per salutare tutti e dare appuntamento al podio. «Ci vediamo lì!», sembra dire. Grande, Mattia.

«PRIMO DELLA CLASSE O NIENTE»
Il ragazzo nato a Marino, sarà anche un predestinato, ma si allena come un matto, fa vita da atleta. Abita in un appartamentino accanto a mamma e papà. Nessun colpo di testa, è lì che ospita la fidanzata, accoglie gli amici con i quali parla di tutto, come un ragazzo normale (e questo potrebbe già essere un segreto). Dunque, Mattia ci dà sotto compie mille sacrifici, suda come un matto, lui che è superiore a qualsiasi sciocca considerazione, pensa italiano, il colore della pelle è un orgoglio, figlio di un mondo che, vivaddio, è cambiato: siamo tutti figli delle stelle.
Sorridiamoci un po’ sopra. Siamo tutti, orgogliosamente, uguali. Così puoi anche essere un predestinato, avere il DNA, il fisico predisposto, ma se devi arrivare primo, e non secondo, devi farti in quattro e, già che ci sei, anche in otto. Un giorno, un grande, ma minuscolo di statura, Michel Petrucciani, pianista italo-francese, in una intervista mi confessò: «Mio padre mi disse: “Michel, per come sei, non puoi concederti il lusso di essere secondo nel mondo”, così studiai da primo della classe!». E così, Mattia, che da oggi conoscerà il mondo di Petrucciani, da quando ha deciso di provare a fare sport, ha studiato da primo della classe. Grande, Mattia!

«IO, QUA, DEVO SALTARE PIU’ LUNGO!»
Diceva un cronista, mercoledì pomeriggio: «Quale emozione, tra tutte quelle che t’hanno travolto, ha avuto un impatto più forte sulle altre?». E lui, il ragazzo che pedalò in volo, risponde al giornalista di “Undici”: «Ero ancora dentro la gara, quindi la prima cosa che ho provato è stata la determinazione: prima del sesto e ultimo salto, quando ero già sicuro di aver vinto l’oro, mi sono detto: “Io qua devo saltare ancora più lungo, è possibile?”. Se ci ripenso adesso, era come se non potessi ancora credere di aver vinto: ero determinato a fare bene fino all’ultimo. E credo che questo abbia fatto la differenza in gara».
Mattia, dicono gli esperti, è un talento che da anni studia e lavora per diventare un fenomeno generazionale, un predestinato che finora aveva mantenuto tutte le promesse; un fuoriclasse non ancora fatto e finito (ragazzi, in fondo ha solo vent’anni!), che però aveva già conquistato risultati eccezionali, e che quindi si presentava al Mondiale di Tokyo con un’enorme pressione addosso. Ecco perché «Grande Mattia!».

E PER FINIRE, LUIGI GARLANDO
Un colpo di tacco. Questo è stato il corsivo in prima pagina di Luigi Garlando, prima firma della Gazzetta dello sport, intervistato in più occasioni da nostro sito, che il grande giornalista ha pubblicato giovedì mattina in prima pagina.
«Non c’è sport – attacca sul quotidiano edito da Cairo – che sia più da ragazzi del salto in lungo. A ben guardare non è neppure uno sport, è semplicemente il loro mestiere: entrare nel futuro che li aspetta ed arrivare il più lontano possibile. Beh, da ieri possiamo dire con orgoglio che non c’è un uomo al mondo che sappia entrare più profondamente nel futuro del nostro Mattia Furlani: 8 metri e39! Che salto, ragazzi. Un’accelerazione spaventosa, tipo la macchina di Doc in Ritorno al Futuro, lo stacco, Mattia ha pedalato in aria come la bici di E.T., è atterrato nella sabbia e si è messo le mani in quel bosco di riccioli che ha in testa. Ha capito subito che l’aveva combinata grossa. Le sue impronte, con una solennità da Apollo 11, erano oltre i segnali dei salti precedenti, dove nessuno aveva osato spingersi.
Medaglia d’oro, a 20 anni, la prima dell’Italia ai Mondiali di Tokyo. Un sorriso largo 8,39 m. E dire che i primi salti non erano stati incoraggianti. Andavano messi a posto. Mattia ne ha parlato con mamma Khaty, ex velocista senegalese, sua allenatrice. Un consiglio qui, uno là e le misure si sono allungate. Tutti i ragazzi entrano nel futuro così, grazie ai consigli di chi ha saltato prima. Ad aiutare Armand Duplantis, divinità dell’asta, è stato papà Greg, che saltava come lui. Come Dedalo ha costruito le ali per il figlio Icaro, così Greg ha permesso a al figlio di salire in cielo. Per non bruciarsi come Icaro, Armand sale un centimetro per volta, con grande prudenza. Si è già migliorato 14 volte. Sempre più vicino al sole. La natura non fa salti, dicevano i latini. L’uomo sì. E che spettacolo di salti…».








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