Loris Stecca, un campionissimo, e il docufilm del leccese Mattia Epifani
- Claudio Frascella
- 31 ott
- Tempo di lettura: 4 min
E ora sfido la vita
A luci spente è il titolo del documentario, produzione sostenuta da Emilia-Romagna Film Commission, Mic – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e Apulia Film Commission, in collaborazione con Sky Documentaries e il patrocinio della Federazione Pugilistica Italiana. Titolo italiano, europeo, mondiale. Un grave incidente, il carcere, l’esperienza, ora fa il netturbino. E a sessantacinque anni ha ancora rabbia e voglia di combattere. Il racconto di Enea Conti sul Corriere della sera

Se il pugilato è considerato l’arte nobile, o per dirla tutta, alla francese, la “Noble art”, un motivo ci sarà. Proprio perché sul ring ci si picchiava e ci si poteva far male seriamente, dovevano esistere delle regole da rispettare, a cominciare dal massimo rispetto dell’avversario. Sì, c’è il terzo tempo nel rugby, ma provate a pensare ai due pugili su quell’anello, che incrociano i guantoni e all’ultimo gong si abbracciano, spesso con uno zigomo o un sopracciglio ammaccato. Un motivo ci sarà. Dunque, massimo rispetto per le regole, quelle scritte, ma anche di quelle non scritte, soprattutto quelle. Sono altrettanto importanti, perché sono quelle che più di altre ti insegnano la vita. A camminare, ad abituarti che anche la vita è un ring, ma non è fatta di soli guantoni.
C’è un pugile, Loris Stecca, che abbiamo amato tremendamente. A partire dal suo nome, “Stecca”, che già da solo ti dice che per non smentirsi deve sferrare colpi secchi e letali, dal punto di vista sportivo s’intende. E’ una star. E, oggi, lo è di più alla luce di due elementi. Il primo, un docufilm, “A luci spente”, firmato da Mattia Epifani (il cognome evoca un pugile tarantino sulla ribalta dalla fine dei Settanta in poi); il secondo, un ottimo articolo di Enea Conti, scritto per il Corriere di Bologna (inserto del Corsera), che intervista come fosse un confronto senza esclusione di colpi, ma mai assestati sotto la cintura.

STECCA, NEMMENO PER SOGNO
Stecca risponde, vuota il sacco. Ci regala la sua storia, perché come volete chiamarlo un racconto che aiuta a capire come si può stare con e senza boxe, andare al tappeto e rialzarsi, camminare con le proprie gambe e convivendo con la propria gloria e i propri errori. Le dichiarazioni di Stecca, nato campione e oggi netturbino con una cooperativa, sono un regalo. Ci fa capire quanto sia utile fare outing e ripartire. E tornare campione di umanità. Fino a spingersi a tornare a parlare di cose semplici, di monopattini pericolosi, di qualche litigata con qualcuno dei possessori di questo mezzo, pericoloso per se stesso e per gli altri, che si vedono piombare alle spalle queste “due ruote” silenziosamente. E bene fa, Conti, a shakerare tutti gli elementi di una storia e di un carattere che presenta soprattutto spigoli sui quali Loris sta lavorando da tempo.
A luci spente è il titolo del documentario di Mattia Epifani, regista leccese, dedicato all’ex pugile Loris Stecca, la cui produzione è stata sostenuta da Emilia-Romagna Film Commission, Mic – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e Apulia Film Commission, in collaborazione con Sky Documentaries e il patrocinio della Federazione Pugilistica Italiana.
LORIS, IL RACCONTO
Dopo essere stato presentato al Biografilm festival di Bologna la scorsa estate, scrive il Corriere, il docufilm su Loris Stecca la sera del 23 ottobre è arrivato nel cinema più iconico di Rimini, il Fulgor, nel cuore della città in cui è ambientato e girato.
Nato a Santarcangelo di Romagna e cresciuto a Rimini, Stecca oggi ha 65 anni: ex pugile, campione del mondo pesi supergallo e tanto altro. Nel 2013 finì in carcere per tentato omicidio, quello della ex socia della palestra che gestiva. Nel 2017 fu premiato con la semilibertà per buona condotta, dal 2022 è un uomo libero dopo l’estinzione della pena.
«La rabbia è il mio avversario più tosto – racconta Stecca – ma oggi tornerei a combattere; la mia, una vita dalle stelle alle stalle, per dirla breve, forse con un po’ di ironia. Oggi, a 65 anni, lavoro a Riccione con una cooperativa di Rimini. Una cooperativa sociale. Faccio il netturbino».

MONDIALE NEL 1985
Nel 1985 vinse il mondiale a Milano, «ma il primo incontro lo disputai il 4 aprile del 1977 a Forlì; avevo iniziato ad allenarmi pochi mesi prima: sono sempre stato uno scalmanato, giocavo a calcio, facevo anche altri sport, ma non avevo le idee chiare: con la boxe si accese una scintilla che divenne un fuoco duro da spegnere».
«A ventuno anni – confessa a Enea Conti sul Corsera – divenni campione italiano dei pesi piuma: sconfissi Marco Gallo al palazzetto dello Sport di Rimini. Nel 1983, a Sassari, sconfissi Steve Sims al settimo round per il titolo europeo. L’anno dopo nel 1984 sconfissi Leonardo Cruz a Milano. Categoria pesi supergallo. Avevo 24 anni. Di tempo ne è passato: le luci su quel titolo non si sono spente. Sono ancora il più giovane italiano campione del mondo di tutti i tempi».

MA QUANTA RABBIA!
Quale il suo avversario più duro da sconfiggere. «La rabbia. Mi fa rabbia tutto. Adesso, per dire, ce l’ho con i monopattini. I loro guidatori sfrecciano ovunque a velocità assurde, incuranti di costituire un pericolo. L’altro giorno una lite con un ragazzo che ne guidava uno stava per degenerare. Di questa mia grande rabbia parlavo molto con una suora del carcere.
Mi ripeteva che dovevo smetterla di fare la guerra con tutti, me lo ripete anche adesso».Rimini, 1989, il dramma, vicino all’Arco d’Augusto. «La sera del 31 gennaio sulle strisce pedonali. Accadde sulla via Flaminia, vicino al centro di Rimini. Il ginocchio si ruppe in mille pezzi, la carriera fu improvvisamente troncata. Anzi, stroncata».
Quell’incidente segnò la sua vita, la sua attività sportiva. «Bloccai l’autostrada A14. Minacciai di buttarmi da un cavalcavia a Misano, arrivarono i carabinieri e le forze dell’ordine e fermarono il traffico. È tutto scritto sulle cronache riminesi e non solo riminesi. Di cazzate ne ho fatte. Oggi mi rendo conto che un tempo criticavo chi voleva combattere a una certa età. Ora a quella età ci sono arrivato io, ma mi rimangio tutto: voglio ancora combattere, la boxe è la mia vita». Tranquillo, Loris, quaggiù qualcuno, anzi, più di qualcuno, ti ama. C’è un tempo per prenderle, ma anche per darle. E finalmente restituirle.








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