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Jeffang, scacciato dalla sete di potere

  • comunicazione283
  • 1 set 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

Avidità e sete di potere. Co sì tanto da devastare una vita. La storia di Jeffang Foday è la storia di un ragazzo vittima delle ambizioni ostinate dei suoi parenti. Suo nonno era sindaco del villaggio nel cuore del Gambia, dove Jeffang è nato e cresciuto: alla sua morte la corsa alla successione ha aperto una vera e propria guerra tra suo padre e suo zio, fratello del padre. A quest’ultimo non bastava essere solo il sindaco o solo l’imam: l’uomo voleva detenere il potere in modo assoluto.

Le liti familiari sono col tempo degenerate fino a travolgere la vita del giovane: «Era un giorno di gennaio 2015 quando ho deciso di partire, ma ormai sapevo da tempo che sarebbe finita così».

A soli 16 anni Jeffang inizia il suo viaggio: dal Gambia raggiunge il Mali, ma si ferma solo per un giorno e poi si sposta in Burkina Faso: «durante il viaggio le condizioni erano pessime, ma come se non bastasse l’autobus sul quale viaggiavamo ebbe un incidente. Pochi giorni dopo parte nuovamente per raggiungere la Nigeria: «ho lavorato per un po’ di tempo, ma non so dirti quanto e poi sono partito di nuovo verso Libia: per 8 mesi ho fatto il muratore e ho raccolto i soldi per raggiungere l’Italia». A differenza di tanti altri Jeffang non è mai stato arrestato in Libia e fortunatamente non ha vissuto l’incub delle prigioni libiche: «sono partito da partito da Zabrata con altre 150 persone e dal 31 agosto 2016 sono a Taranto. Sì, ormai è un anno esatto: mi trovo bene qui: nessuno litiga e gli operatori sono davvero bravi».

Oggi sta imparando l’italiano, ma sogna di riprendere gli studi di informatica: «all’inizio mi andrebbe bene qualunque lavoro perché voglio restare qui, ma sinceramente mi piacerebbe trovare il modo di lavorare coi computer: è quello che so fare meglio». Jeffang sorride e torniamo a parlare del su paese e dell’inizio del suo viaggio. Quando ripensa al suo Paese è evidente che abbia nostalgia, ma stranamente non ha rancore per chi l’ha costretto ad andar via: «purtroppo è andata così, mi dispiace, ma non voglio incolpare la mia famiglia. Voglio solo pensare al mio futuro».

 
 
 

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